Ma quale " Made in Italy " ! ( Coming soon 25/10/2010)  

Posted by Milano è un pacco

Caffèlungocappuccinobrioche !  

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E' una mattina di sabato di fine autunno e ne approffitto per fare colazione con mio padre che è un po' di tempo che non vedo.
Lui ha sempre qualche attrezzo da lavoro da comprare: è di quella generazione di aggiustatori e manutentori di ogni cosa, con il box, la casa, il terrazzo e i balconi trasformati in laboratorio. Sarà d'obbligo avvicinarsi a quei grandi magazzini che circondano la periferia di Milano dove potrà trovare il suo ultimo marchingegno. E' lì che poi ci accomoderemo in un bar per ristorarci.

La missione si compie, usciamo dal grande magazzino e nei dintorni cerchiamo una caffetteria. Quella che adocchiamo ci appare grande abbastanza per avere un buon servizio, ed è anche elegante: ci fermiamo ed entriamo. Non saprei come definire la prima sensazione con una sola parola ma se dovessi ricreare l'atmosfera che ci trovammo davanti direi che era quella di un pollaio, persone dai movimenti bruschi e sguaiati, una difficoltà nel capire chi e cosa, urla e schiamazzi. Non è esattamente quello che da fuori si prometteva, ma tant' è che ormai avevamo parcheggiato l'auto, e si sa: a Milano è un punto di non ritorno.

L'aria tranquilla e disinteressata di una mattina rilassante con mio padre era svanita: bisognava assumere il pieno controllo della scena, capire dov'era la cassa, la fila giusta, a chi ordinare, con quale tono di voce, e scandire bene le parole perchè la confusione non le rendeva chiare. Non voglio dire che ci si dovesse immettere in una catena di montaggio assecondandone inevitabilmente il ritmo, ma lo spettro dell'alienazione incominciava a dare qualche flebile segnale. Davanti non avevo più nessuno ma erano passati dei minuti e tra ordinazioni ad alta voce, fila da difendere e gomiti dei vicini da rendere innocui quasi avevo perso memoria del motivo della mia presenza: ero lì per fare colazione. Finalmente mi ritrovai davanti la cassa e dietro di lei una ragazza dagli occhi aguzzi, un uomo sulla cinquantina dal volto sofferente e ragazzo con una divisa dal gilet verde storto e bucato: a chi dovessi rivolgermi non era dato capire: ognuno parlava con qualcun altro che stava oltre incrociandolo, facendogli domande, chiedendo conferma o confermando ordinazioni di non si capiva bene che cosa. Nel vuoto gridai :" Caffè lungo cappuccino brioche !". Che avevo precedentemente stabilito con mio padre dopo un veloce e responsabile consulto come a stabilire una direzione irrevocabile da comunicare alla squadra in una mischia di Rugby. Il mio caffè lungo cappuccino brioche fu completamente ignorato, anzi i tre del bar si allontanarono insieme per andare a controllare che le loro precedenti ordinazioni urlate dal posto fossero state comprese dal loro collega al bancone e pare che non fosse affatto così. Ne ritornò uno e mi chiese cosa volessi sempre senza posare il suo sguardo sul mio: "Caffè lungo cappuccino brioche" risposi, ma nel frattempo fu distratto dal secondo dei tre che gli richiedeva l'attenzione e si allontanò senza dire nulla. Mio padre nel frattempo si era seduto a un tavolino e si stava studiando il suo nuovo marchingegno attendendo che arrivassi con le nostre colazioni. Lo intravedevo tra le persone che dietro di me avevano allungato la fila.

Alla cassa un commesso poi arrivò, ma non era quello di prima, così enunciai nuovamente:"Caffè lungo cappuccino brioche !". Come la vuole la brioche mi chiese: liscia risposi. Pagai e battè lo scontrino: un caffè, un cappuccio e una brioche alla crema. Il bancone si trovava a lato estremo della cassa, ma molto in fondo, dovetti circumnavigare la fila, perchè attraversarla lateralmente era pericoloso, incrociai lo sguardo di mio padre che si intuiva pensasse stessi arrivando con il suo caffè lungo e che con l'espressione mi chiedeva il perchè dell'attesa ma gli feci segno che ancora dovevo ordinare al bancone. Piuttosto lungo il bancone, nonostante alla macchina del caffè ci fossero solo due persone, si presentava dietro una fila italiana a raggiera con i due baristi che muovendosi come una pallina in una partita da Ping Pong capitavano incidentalmente davanti a qualcuno distribuendo consumazioni a caso. Ognuno ai capi della raggiera si sentiva in diritto di ordinare, in un vociare sincopato il ragazzo e la ragazza alla macchinetta sembravano intenti in un rituale che solo loro conoscevano e non prestavano retta se non a loro stessi. Appoggiavano repentinamente sul bancone delle consumazioni che gli astanti scrutavano dubbiosi valutando se combaciassero ai loro ordini. Il ritmo ipnotico dei baristi era interrotto solo da grida improvvise indirizzate ai ragazzi della cassa che chiedevano o rispondevano come prima a non si sa bene che cosa.

Non so come capitò ma mi trovai davanti alla ragazza e così pronunciai "Caffè lungo cappuccino brioche !", ripetè ad alta voce le mie parole e poi si voltò riprendendo il suo ritmo. Passarono sotto i miei occhi decine di tazzine e bicchieri ma non trovai nulla che potesse avvicinarsi a quello che era la mia ordinazione. Ad un certo momento la ragazza si girò di scatto e come vedendomi per la prima volta pronunciò:"E lei ?". Comunicai di nuovo "Caffè lungo cappuccino brioche", ripetè: "Caffè lungo cappuccino brioche" come prima si voltò e riprese il ritmo. Vidi che nella macchina si stava preparando proprio quello che avevo ordinato, la ragazza si voltò cercandomi con lo sguardo, ero proprio lì davanti ma ci mise un po' a vedermi, mentre stava appoggiando l'ultima tazzina dalla cassa urlarono, si voltò di scatto e tutto si rovesciò. Se la prese con il ragazzo a fianco tutto sudato sostenendo che chi aveva urlato aveva ragione di farlo e che se lui fosse stato attento non lo avrebbero fatto e lei non avrebbe rovesciato il tutto. Il litigio spezzò il ritmo e durò qualche minuto mentre tutti i clienti rimasero impassibili spettatori. Così la ragazza dagli occhi aguzzi che ora erano inferociti mi richiese cosa avevo ordinato : risposi "Caffè lungo cappuccino brioche". Mi passarono davanti altre tazzine e bicchieri e una decina di volte i commessi avanti e indietro prima che la barista si rivolgesse a me dicendo: "Ecco il suo caffè macchiato e il cappuccino !".

Ci fu un momento in cui pensai di perdere la pazienza ma mantenni una calma serafica e feci notare senza alzare la voce e quindi dovetti ripeterlo un paio di volte, che il caffè doveva essere lungo. Così senza neanche pensarci la ragazza prese al suo collega da un vassoio un caffè e quasi rimproverandomi mi chiese se adesso fossi contento. "In verità" gli dissi, "mancherebbe la brioche", così emise un urlo agghiacciante a uno dei ragazzi alla cassa e si fece portare una brioche che ancora adesso non rammento come fosse perchè proprio lì stavo per perdere il controllo. Arrivai al tavolino da mio padre, che con visuale a favore mi aveva potuto osservare e stava scoppiando in una risata ma per rispetto non lo faceva, e anzi osservò subito che mancavano i cucchiaini, ma si prodigò per andare lui a recuperarli. Rimasi seduto da solo forse un minuto, in quel momento mi resi conto che la confusione che mi era intorno ora aveva raggiunto la mia testa. Da lontano la scena era immutata anche se ora le urla e il vociare si sentivano più sfumati. Ma il movimento repentino di clienti e personale del bar si riusciva ancora a percepire e continuava ad attirare l'attenzione. Ora non mi andava più niente e assaggiai solamente un po' la brioche. Mio padre bevve il caffè commentando che fosse pessimo e che la prossima volta saremmo rimasti a casa.

Io pensavo come un tempo che nell'intenzione sarebbe dovuto essere rilassante fosse divenuto invece spiacevole, e come lo era stato negli ultimi tempi sempre più volte in queste situazioni qui a Milano. Che non avevo questa sensazione in nessuna città in Italia e men che meno in Europa quando mi ritrovavo in un locale pubblico. Valeva quindi la pena di trovare una spiegazione senza addossare subito la colpa a que poveri baristi. Il locale era grande e frequentato: lasciare gestire tutte le mansioni a solo quattro persone, cassa, caffetteria, ristorazione, servizio ai tavoli è già di per sè una scelta che promette ciò che poi mantiene: il caos. Se si pensa poi a quali sono i contratti che regolano queste persone nel loro lavoro e il tipo di retribuzione, che è inadeguato, si comprende come chi è messo nelle condizioni di non fare bene il proprio lavoro, a volte trovi come unica consolazione, quando la situazione glielo consente, il farlo male o fare finta di farlo.

Ma il problema ovviamente è a monte di una scelta imprenditoriale squallida e fallimentare che mira in ogni contesto quale anche quello di un semplice bar al puro guadagno e niente più, riducendo all'osso ogni servizio al cliente privandolo di qualsiasi beneficio accessorio oltre alla mera consumazione che diventa così come l'espletamento sbrigativo e alienato di una necessità corporale. Un espletamento che ormai non considera neanche le minime norme di convivenza civile e di decoro in una città dove non è più presente la speranza di un futuro ma solo di un presente che si rivela nell' unica opportunità di ottenere il massimo guadagno con quello che si ha a disposizione. E sempre più spesso con quello che non si ha. Non preoccupandosi degli sviluppi che questo atteggiamento può avere: perchè è come se il campionato fosse già finito e noi fossimo stati retrocessi, quindi a che pro sbattersi ? Quando l'impalcatura è già crollata l'unica scelta da farsi rimane quella di portare via il più possibile sottraendolo e sottraendosi all'imminente disastro. Una scelta che caratterizza la Milano di oggi.

L' Expo secondo me (parte terza)  

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RIASSUNTO DELLA PUNTATA PRECEDENTE.


Vespertino, uscito perplesso da una curiosa conferenza sull'Expo decide di usare tutte le sue risorse (molto modeste in verità) per avere una visione più chiara dell'oggetto misterioso chiamato Expò 2015 ed imperterrito dopo lunghe ricerche giunge finalmente ad una conclusione.


(segue)

Che succede all'Expò quindi ?

Ad un anno da quella conferenza questa è la situazione :

Abbiamo vinto l'Expò ok ma dopo il giustificato momento di euforia abbiamo visto che però Tremonti non si è convinto della convenienza dell' opera e ha bisogno di soldi per la crisi quindi nicchia, c'è la crisi e le banche hanno chiuso i cordoni della borse, c'è la crisi e gli investitori privati si sono dileguati, quindi se tutto va bene si farà un Expo in formato ridotto, in pratica solo le opere già finanziate, il resto è avvolto nell'incertezza.

Per capirci l'Expo full optional quello che cambierà la faccia alla città dovrebbe costare una cifra vicino ai 25 miliardi, una cifra gigantesca fantascientifica già in tempo di vacche grasse figuriamoci ora, finora ci sono circa solo 4 miliardi di finanziamenti statali il resto quindi è in sospeso.

Infatti da fine giugno 2009 circolano diverse proposte (Tremonti, lega, un comitato cittadino) per un Expomini usando le strutture della Fiera già esistenti e padiglioni a basso costo e basso impatto ambientale e facendo solo le opere di collegamento indispensabili: in pratica solo i collegamenti alla fiera di Rho e la linea 6 del metro. E' l'estremo tentativo di salvare il salvabile, eh già, sembra diventato precario anche l'Expo !

Oggi siamo in stasi, mancano i soldi e si ha paura di dirlo e allora si tira avanti affidando proposte e cifre al vento che se le porterà via, giusto per fare vedere che non si è fermi e si agisce nel frattempo si litiga sulle poltrone, quelle sì che sono sicure e sulle poche commesse certe. In realtà nessuno sa come uscire da questo pantano e si aspetta che un evento esterno risolva la situazione.

In questa modo lo spazio per le idee, la progettualità di un futuro, del bene comune si riduce a eventi di marketing e pubbliche relazioni, viene meno così il vero senso dell' Expo 2015 che dovrebbe essere un'occasione per cambiare Milano, città vecchia e stanca e darle una forma adatta al ventunesimo secolo e farla tornare quella città moderna che non è più ma che è nella sua più intima natura, e dotarla delle strutture adatte per portala nel futuro. Ma per fare questo è necessario avere una visione del domani verso cui si vuole tendere.

Oggi tutto ciò non solo manca ma cosa ben più grave non è considerato necessario, l'importante è solo il presente che ci troviamo davanti al naso, abbiamo solo quello e quello ci deve bastare. Ma così non saremo più in grado di costruire una città viva, vivente nel suo tempo ma solo degli spettacoli pubblicitari per ingannare l' angoscia che il futuro crea.

La vera natura dell'Expo oggi è questa, è come la bella addormentata circondata da un bosco di rovi, attende un principe azzurro che la svegli, mentre la città sogna.

L' Expo secondo me (parte seconda).  

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RIASSUNTO DELLA PUNTATA PRECEDENTE.

Vespertino, uscito per andare al cinema, spinto da misteriose forze assiste invece ad una conferenza un po' surreale sull'Expò 2015, piena di insigni architetti e di potenti politici.

(segue)

Ma che cos'è l'Expo quindi ?

Concretamente è un insieme di 16 padiglioni da costruire in un parco, nei quali 120 paesi partecipanti mostreranno le proprie idee sul tema dell'alimentazione nel senso più ampio possibile includendo anche il problema della fame nel mondo e degli ogm.

Avremo, quindi, 16 padiglioni con frutte verdure e alimenti tipici e qualche mostra a tema, tutto ciò secondo gli organizzatori dovrebbe attirare a milano nei 9 mesi dell'evento 30 milioni 30 di visitatori da tutto il mondo cifra che manco Venezia si sogna di raggiungere in un anno.

L'Expo è essenzialmente questo e tutte le altre iniziative di cui si parla sono solo iniziative secondarie, opzionali non fondamentali non finanziate ed erano e sono ancora al livello di ipotesi proposta teoria idea suggestione, auspicio augurio desiderio sogno etc etc, insomma aria fritta, nebbia che evapora al sole del mattino.

In pratica per ora ci sono forse solo i soldi, forse, per i padiglioni, il resto se qualche privato caccia i soldi bene sennò ciccia, ci si limita a parlarne e basta che tanto male non fa.

Peccato che dal momento in cui si è ottenuta l'Expo si è venduta questa iniziativa come l'occasione per far ripartire Milano, che è obbiettivamente una città ferma, e prepararla per il futuro. C'è gente che ci crede davvero e che considera l'Expo una vera occasione di sviluppo, però se questi sono i presupposti allora tira una forte aria di sceneggiata.

Bilancio della serata: in positivo Daverio dal vivo è ancora più intelligente e arguto di quello che sembra in tv e non se la tira, è come deve essere un intellettuale oggi, inoltre gli architetti intervenuti mi sono sembrati sapere tutti il fatto loro, perciò mi è venuto da pensare che se le nostre città non sono per niente a misura d' uomo il problema potrebbe essere forse nella committenza che considera gli edifici solo come solidi geometrici per fare soldi, null'altro che soldi. Se l'intelligenza per fare bene c'è allora deve mancare per forza la volontà, non si scappa o è l'una o l'altra.

Di negativo c'è stato invece l'assessore ridanciano quando è stato obbligato a dire qualcosa sul problema che il tempo per fare tutte le infrastrutture era poco e si doveva passare subito dalla fase in cui si auspica qualcosa ai brutali fatti, altrimenti si rischierà di perdere l'Expo.

Per svicolare il simpatico assessore ha buttato lì la frase fatta che a Milano vige la cultura del fare e quindi il problema non si poneva, è scattato allora l'applauso convinto di buona parte dei presenti e poichè non mi sembravano una claque, ho avuto la sensazione che la colata di cemento che si vuole buttare su Milano avesse deviato e provasse a travolgere anche me.

Infatti ho avuto la riprova che siamo ancora in fase in cui bastano degli stanchi slogan per tirarsi fuori da situazioni scomode, eh così è troppo facile, è facile come dare un biscotto ad un cane. Tiri fuori uno slogan e così si evita agevolmente un confronto vero, in cui si deve rendere conto di quello che si dice e che permette di formare così le idee che poi andranno trasformate in realtà.

Sono quindi tornato a casa con delle sensazione vaghe e contrastanti da una parte le grandi potenzialità dell' evento dall' altra lo sconfortante stato delle cose.

Per chiarire le mie perplessità ho fatto delle ricerche e leggendo qua e là mi sono fatto una visione più chiara delle cose e mi sembra di aver capito questo:

L'ultima Expo a Saragozza nel 2008 ha avuto circa 5,8 millioni di visitatori, al 50% gente dei dintorni venuta a vedere l'esposizione, e noi vogliamo 30 milioni di persone che dovrebbero venire da tutto il mondo a vedere 4 orti e 2 giardini.

E' evidente che sono cifre sparate a caso e quando le cifre non sono vincolate alla realtà, sono solo forme senza sostanza che smettono di appartenere alla brutale realtà e entrano in un mondo parallelo ben più libero e fantasioso, possono essere usate a cuor leggero perché non sono destinate a scontrarsi col mondo.

Che succede all'Expò quindi ?


(continua)

L' Expo secondo me  

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Una sera di autunno l' anno scorso vagando per il centro inciampo in una conferenza all 'Ottagono in galleria Vittorio Emanuele. La conferenza riguardava l'architettura e l'Expo,vi partecipavano architetti del calibro di FuKsas e Mario Botta e presenziavano anche un paio di assessori, moderava Philippe Daverio.
La conferenza fila via liscia con dotte dissertazioni degli architetti sulla forma che dovrebbe avere la città del futuro in vista dell'evento, però si notava questo: gli architetti teorizzavano e gli assessori facevano i pesci in barile, si vedeva che anche se preposti alla materia le dotte dissertazioni degli architetti erano lontane mille chilometri dal loro mondo,in particolare l'assessore più giovane provava a sopperire alla totale mancanza di cognizione sull' argomento con battute del tipo ah ma allora questo è un master in architettura ? ah ma allora per favore non bocciatemi al master e cosi via. Insomma non capiva niente ma almeno era allegro e ridanciano.
Alle colte proposte degli architetti, i due assessori annuivano con l'aria di chi per la prima volta nella vita sentiva il concetto che una città non si costruisce da sola, spontaneamente, ma allo stesso modo di una casa, si deve partire da un progetto e nel caso di una città da una visione del futuro, per evitare che sotto la spinta di forze differenti collassi il tutto.
Evidentemente l‘idea che una città debba avere un senso, un'idea di futuro incorporata nei suoi spazi, che una città debba essere modellata per soddisfare le esigenze di chi la abita, era un concetto assolutamente nuovo mai affrontato prima.
Tutto ciò, glielo si leggeva nei volti, appariva ai loro occhi come un mondo un po' strano, esotico e complicato; ah certo che il mondo in cui l'urbanistica e l' architettura sono solo sinonimi di speculazioni edilizie e di colate di cemento è molto più semplice e familiare, rassicurante perfino...se non lo si subisce.
Ad un certo punto della discussione si alza dalla prima fila del pubblico un esimio architetto pari grado degli egregi architetti sul palco e sposta il tema dalla forma che dovrebbe avere la città del futuro a cos'è ad oggi l'Expo tanto nominato.
E quindi si comincia a discutere di cos'è concretamente l'Expo.

Ma che cos'è l'Expo quindi?

(continua)

Grand Cabinet Comptable et d'Avocats  

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Qualche giorno fa ho ricevuto la telefonata di un amico imprenditore che ha un’attività subito fuori Milano. La “ditta” come si dice da queste parti, o il “capannone medio”, come direbbe nei suoi monologhi il comico Albanese. Lui è un artigiano giovane e dinamico che ha saputo costruire nel tempo la sua attività, avvalendosi di un talento che ormai è ritenuto consolidato.

La mattina seguente avrebbe dovuto incontrare un produttore di un materiale esclusivo per accordarsi su di una fornitura. Mi chiama da quando casualmente mi capitò di accompagnarlo a uno di quei colloqui che sembrano dei veri e propri duelli più che delle conversazioni. A me il produttore piacque subito, si vedeva che aveva iniziato quando c’era ancora la possibilità di godersi la vita oltre che guadagnarsela. Sono cose che si percepiscono a pelle ed anche il carattere credo aiuti nel suo immediato proporsi. La sala riunioni non era pacchiana o addirittura kitsch come sempre più spesso è facile ammirare dai cumenda della Brianza, anzi era stlisticamente ricercata: subito si poteva intuire che si aveva a che fare con qualcuno che non amava solo i soldi. Infatti dopo un’ora di cifre e percentuali, annoiato, mi guardai bene in giro e feci notare impulsivamente all’amico che eravamo seduti su delle poltrone Gae Aulenti. “Quelle esposte anche al Museo di Arte Moderna a New York”, rincarai la dose. Il boss per niente infastidito di questa interruzione si compiacque anzi così tanto che sottolineando la sua personale scelta e che nessuno se ne fosse mai accorto ci prese in simpatia e strappammo un buon contratto.

D’altronde è risaputo che a fronte di serissimi appuntamenti d’affari l’economia italiana si è sempre più giovata, per i suoi accordi, delle simpatie riciproche, dei salotti compiacenti, delle palestre alla moda, o anche, come si vede recitare spesso nei film della commedia all’italiana: delle camere da letto.

Ebbene, non c’è miglior persona per tastare veramente il polso dell’economia italiana di chi con talento e impegno ha messo a frutto la sua vena imprenditoriale in quel di Milano, e quindi la chiusa del cerchio è d’obbligo: dopo aver consultato quel minimo di giornali che servono per farsi un’ idea di come stanno andando le cose l’ultima parola va sempre al mio amico. Ed ora più che mai: nel momento in cui il paese sprofonda in una recessione che così mai si era vista negli ultimi anni.

Ma questa volta non c’è stato bisogno di fargli nessuna domanda perché subito dopo i saluti di rito mi ha anticipato sul tempo: “Ma uno a Milano come fa a lavorare !?!”. E’ stato l’ incipit che ha preceduto il suo amaro racconto.

La settimana precedente era stato in visita proprio da quel signore che ci aveva preso in simpatia e che gli aveva raccontato che dopo quaranta anni di florida attività stava per chiudere, anche lui come molti altri nella zona. E’ vero, un fornitore che era scomparso gli doveva 80.000 euro, ma oltre ai soldi si rammaricava anche di essere stato più volte preso in giro. Preso in giro da quello che gli stava succedendo intorno, e teneva a sottolineare che non per : “ puro problema economico” avrebbe chiuso i battenti, perchè anni da industriale gli permettevano ormai di vivere agiatamente di rendita. Comunque, rimuginando da tempo su come recuperare il maltolto, oltre ad aver intentato come da prassi una causa , scoprì come l’Azienda avesse un ammanco eguale anche per la Banca che il caso voleva fosse la sua stessa. Pensò che conoscendo personalmente il direttore di una delle più grandi filiali potesse venir consigliato meglio che dai suoi avvocati sul da farsi, scoprendo come l’istituto avesse provveduto in merito. L’imprenditore si sentì rispondere che era meglio lasciar perdere e che loro non avevano proprio provveduto a niente, che se avessero intentato cause a tutte le aziende del milanese che avevano ammanchi fino a 100.000 euro che loro già sapevano non sarebbero mai stati coperti avrebbero dovuto trasformare l’istituto di Credito in un “Grand Cabinet Comptable et d’Avocats”come dicono a Parigi , smettendo di fare il loro lavoro.

Eh già: “Ma uno a Milano come fa a lavorare !?!” Come biasimare lo sfogo del mio amico. Se vengono a mancare le figure di riferimento di quel sistema che noi chiamiamo capitalistico, quelle principali, che si studiano nei libri dell'università, i capisaldi di Smith per intenderci, quelli che ti garantiscono il regolare svolgersi del capitalismo moderno allora come si fa a lavorare ? Se l’unico humus in cui può oggi proliferare una aziende del milanese è un terreno privo di garanzie istituzionali, con un deficit acclarato di stato di diritto, di latitanza di elementari regole a tutela del mercato considerato ormai come un mostro monolitico nel solo atto di mantenere, seppur a suo discapito, invariato lo stato delle cose allora a Milano non si può che lavorare male con tutto quello che ne consegue.

Discoteche e buttafuori II  

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(...segue)

Portare delle ragazze facilita quella che non è più oramai un momento di svago ma si trasforma in una missione da compiere, ma anche se porti delle ragazze non è detto che tutto vada liscio, mi ricordo infatti un'estate di 4 o 5 anni fa un locale all' idroscalo ,la zona dei locali estivi a Milano ci fecero un sacco di storie perchè eravamo 5 maschi e solo 3 ragazze, tra l'altro molto carine, e pensare che noi volevamo solo entrare in un locale e non alla banca d'italia! Se questa è la situazione lo sprovveduto che vuole fare una uscita serale può fare poco per difendersi, ad esempio un mio conoscente benestante quando capitano queste situazioni e si stufa ad un certo punto tira fuori l'american express oro e comincia a sventolarla, beh qualche volta funziona e riesce ad entrare anche senza essere sulla lista . In alcuni locali funziona, qualche volta. In maniera subdola si è creata una situazione di apartheid in cui si è obbligati ad andare solo in alcuni posti mentre altri non li puoi neanche prender in considerazione e la notte con la sua oscurità qui a milano non rende più difficile vedere le differenze ma paradossalmente le aumenta. Così quando si esce si è obbligati a pianificare dove si va e quale strategia adottare per entrare, quando si entra, etc etc... mentre semplicemente si vorrebbe entrare in un locale senza avere tutti questi vincoli insomma un sacco di ostacoli solo per poter andare da qualche parte ,quando un uscita serale dovrebbe essere il momento di relax, esaurite le debolissime contromisure che puoi adottare che fai ? Dopo aver provato a sfuggire al tuo destino di reietto della notte alla fine sconfitto per evitare altre frustrazioni pur avendo sulla carta le infinite scelte possibili che questa scintillante metropoli ti offre. Allora ti riduci ad andare nei soliti posti dove ti conoscono e sai che sei ragionevolmente sicuro di entrare e accetti così la tua sconfitta, e torni a casa senza ben capire come mai il numero di locali realmente fruibili a milano sia al livello di quelli presenti in una città di provincia mentre la città col suo hinterland avrebbe in realtà 3 milioni di abitanti e dovrebbe essere una metropoli, e ti rimane così la vaga sensazione di trovarsi in un posto piccolo, chiuso e spento. Tipico di Milano grande scelta secondo la retorica imperante e grandi gabbie nella realtà. Tutto questo accumulo di frustrazioni e di tentativi a vuoto copre una cosa semplicissima ma fondamentale cioè che la notte si esce per divertirsi e non per accumulare paranoie e sottostare a esami impossibili da superare. Infatti, è questo che è difficile da percepire; come partendo da un bisogno semplice lineare quasi, ci si ritrovi aggrovigliati in un meccanismo sociale complesso e implacabile. E' un chiaro segno di quanto stia diventando sempre meno vivibile e accogliente questa città, già qui non siamo decisamente a Las Vegas. Poi ci siamo abituati così perchè sta situazione è cresciuta lentamente negli anni e quasi non ne vediamo più l'assurdità. Però l' assurdità rimane e infatti quando uno esce la sera spesso si ritrova addosso sensazioni e che Milano sia proprio una città spocchiosa e delirante e che senza sapere come e perchè ci si ritrova infiascati in situazioni senza senso, mentre eri solo uscito a cercare un po' di spazio per te.


Discoteche e buttafuori.  

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Ho recuperato un servizio delle iene di Domenica 22 marzo che ha fatto affiorare in me molti ricordi, il servizio s'intitolava discoteche e buttafuori e mostrava 2 ragazzi normosfigati che venivano rimbalzati ovunque andassero. Situazione che anche io ho vissuto,e secondo me alla base di esperienze come questa c'è un equivoco poichè tu esci la sera con l'intenzione di divertirti, intento semplice, soluzione semplice verrebbe da pensare, povero sprovveduto e non sai che in realtà ti troverai in una guerra di mondi che si scontrano. Da una parte,tu che vuoi semplicemente uscire e staccare un po' senza troppe pretese, passata l'adolescenza non cerchi memorabili notti da narrare ai posteri e vorresti solo passare una serata in relax ma ti dimentichi che dall' altra parte invece ci sono i gestori dei locali che non si accontentano solo dei tuoi soldi ma anche per qualche cosmico mistero vogliono anche complicarti e rovinarti la serata, comincia così una specie di corsa ad ostacoli a cui non sapevi di essere iscritto per cui diventa difficile entrare da qualche parte. Intendiamoci è normale che i locali esclusivi per vip facciano una selezione feroce, io non sono vip e quindi li evito a priori e vado da un' altra parte chissenefrega vivi e lascia vivere no? No! perchè con gli anni il fenomeno si è propagato come un virus e ha raggiunto qui a Milano punte grottesche, ci sono intere zone come quella mostrata nel servizio, a me sembrava la zona intorno a corso Como, che non ti lasciano scampo, meglio evitarle per non rovinarsi la serata e con pazienza cercare locali un po' più permissivi. Il problema è che non solo i locali fighetti fanno così ma anche molti, altri locali riducendo molto la possibilità di scelta. Oramai è una mania e per trovare locali che accolgano persone comuni senza troppi problemi e attese, bisogna cercare con molta attenzione. A giudicare dalle pretese di questi club sembra che a Milano possano divertirsi solo gente dello spettacolo, calciatori e ricchi cummenda della provincia con i loro pargoli. Perchè in realtà quello che fanno i buttafuori all' ingresso dei locali è solo fare lo scontrino di quello che indossi per vedere quanti soldi hai. Nessuno lo ammette apertamente ma lo sanno tutti, altro che stile originalità moda, questa è la capitale del denaro e non lo si deve dimenticare mai. Lo so che è un po' così ovunque ma qui a forza di alzare l'asticella si è arrivati a livelli da olimpiade, o forse da comica, e così uscendo la sera si può assistere a scene ai confini della realtà come questa,di un un paio di anni fa : corso Como una di notte di un giorno feriale tipo giovedì mercoledì discopub vuoto neanche l'ombra di un cliente e il buttafuori che diceva al ragazzo no qui tu non entri con le scarpe da ginnastica ,..... e già con il locale completamente vuoto chissà che danno avrebbe avuto,avrebbe rovinato la magica atmosfera che si era creata, oppur mi viene spontaneo ricordare quei 5 amici che un tragico sabato sera ebbero la sfortunata idea di uscire per festeggiare il compleanno di uno di loro,che idea bizzarra, pensare di poter andare da qualche parte e infatti vennero rimbalzati ovunque, dappertutto, tant'è che esasperati per entrare da qualche parte finirono la serata a Lugano Svizzera un'ora di macchina da Milano in una discoteca del cazzo venendo derubati al cambio e pagando così l'entrata uno sproposito, è tutto vero io c'ero! ( continua...)

Il WC con le muffe intorno.  

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Se c'è una cosa da fare arrivando in una città, per conoscerla appieno, è quella di attraversarla da capo a piedi muniti di una sola cartina. Se poi la città non la si conosce per nulla questo è il modo migliore per saggiarne le caratteristiche e scoprire di strada in strada, di palazzo in palazzo come la storia ne abbia costituito il carattere lavorando sulla sua forma. La forma della città di Milano, per esempio, è antica. Va cominciandosi quando la Roma imperiale impone leggi riti e costumi alle popolazioni soggiogate. In Italia questo processo di colonizzazione si evidenzia con due forme distinte : a nord e a sud del fiume Po.

Risultato nel primo caso di un adattamento lasciato all’amministrazione del luogo e nel secondo a decisioni e ripianificazioni messe in essere direttamente da Roma che così operava nelle province più vicine dell'Impero. La più evidente differenza riscontrabile è la scelta dell’intervento sull’urbanistica, più stradale nel caso di Roma e prevalentemente edilizia per Milano che ha altresì beneficiato del medesimo intento anche nel medioevo dove i nuovi edifici hanno spesso utilizzato fondamenta romane lasciando così immutato l’impianto stradale.

Queste scelte hanno inevitabilmente portato, nel corso dei secoli, ad una trascuratezza archeologica, che a noi si mostra nei pochi esempi dei resti del suo passato, a testimonianza di una idea di costruzione che non fosse conservativa ma distruttiva. Ciò che invece ci rimane sono i suoi tracciati cittadini, che raro esempio, sono gli stessi da un millennio.

E’ così che Milano ci arriva direttamente a noi dal Medioevo, con le sue mura , le sei porte principali e le tredici porte minori, le pusterle.

E’ qui che si va delineando la Milano odierna, con le zone e che si vanno formandosi seguendo le linee dalle porte al centro della città . E' qui che nel XII secolo nascono i navigli per permettere alla città di essere più raggiungibile collegandosi ai due più importatanti fiumi della Lombardia attraverso una intelligente quanto complessa rete di comunicazioni.

E’ qui che tutte le amministrazioni comunali avrebbero dovuto rifarsi: cercando di non stravolgere le sei zone storiche in cui era divisa la città: i sestrieri, conservando la coscienza storica di una società.

Ma così non è stato.

Le esigenze di una comunità si sono sovrapposte a quelle di pochi e gli interventi urbani hanno dimostrato inequivocabilmente che quando questi pochi non ne hanno più giovato i progetti si sono svelati per quello che erano: utili solo a generare il consenso del centro di potere del momento.

Ritrovandosi così di volta in volta a dover compiacere il regime successivo sventrando quartieri per inventarsi una Milano moderna ad immagine e somiglianza del Podestà di turno. Nel frattempo nel suo centro, unica in europa, permanevano e tuttora permangono a due passi dal Duomo, nella centrale via Santa Marta, nella città tutta, i resti dei bombardamenti della seconda guerra mondiale a mostrare, a lato di progetti avveniristici, come sia parziale in questa città l'idea di tessuto urbano.
Una Milano amministrata affinchè non avesse più nulla da spartire con la sua anima storica e non si integrasse col tessuto urbano e sociale. Una città in cui sono stati installati qua e là corpi estranei malsopportati, spesso su ordinazione di poco lungimiranti assessori, che avrebbero poi presto dimostrato la loro pericolosa inutilità. Che con la copertura della Cerchia dei Navigli negli anni ‘30 ha perso definitivamente la sua identità di città al centro di un sistema millenario di acque e di canali unico al mondo.

L’ultimo esempio di questa serie è il progetto “City Life” che costerà 523 milioni di Euro. Il progetto, a detta di Liebeskind, uno degli architetti ideatori “ E’ ispirato alla tradizione rinascimentale italiana, in particolare all'equilibrio armonico teorizzato da Leonardo da Vinci.” Che però non ce lo può confermare.

Quella che è già certa è invece la singolare assonanza tra il nuovo Museo di Arte Contemporanea e un gigantesco Water con le muffe.



2 pesi 2 misure 1 vigile  

Posted by Milano è un pacco

L'anno scorso di questi tempi, passando nei pressi della stazione centrale, noto un vigile multare una fila di macchine in sosta vietata. E penso: " Ah lo spettacolo della giustizia in azione". Non ne sono contento ma io quando sbaglio vengo punito e mi potrà rodere ma se ho torto, ho torto ed è giusto che sia così anche per gli altri. Mi rendo conto infatti che l'alternativa a ciò è la legge della giungla dove tutti tentano di sbranarsi a vicenda, insomma io sono una di quelle persone che quando fa qualche cazzata se ne vergogna, lo so sono fuori moda ma non si può sempre seguire la corrente specie se porta allo scarico di una fogna, chiaro questa è la mia personalissima opinione.
Comunque il solerte ghisa (a milano i vigili si chiamavano così ora il termine sta uscendo dall'uso comune) procede duro ma giusto nella sua mansione: prima macchina, seconda macchina, terza macchina, la quarta macchina il vigile con agile dribbling la salta a piè pari e prosegue con le successiva e conclude la missione, strano guardo meglio, era una Bmw serie 7 nuova di zecca, curioso chissà perchè..., dopo attenta riflessione le teorie che ho trovato sono: 1) IL VIGILE E' UN FAN SFEGATATO DI QUESTA MACCHINA e mai oserebbe insozzarla con una volgare multa . 2) ERA LA MACCHINA DI QUALCHE PEZZO GROSSO e come è noto non si disturbano i pezzi grossi della politica e delle istituzioni. 3)IL VIGILE AVRA' PENSATO CHE CHI PUO' SPENDERE 100000 EURO PER UNA MACCHINA POTEVA ROMPERE I COGLIONI A LUI ben più di quanto lui potesse fare al proprietario della macchina 4) CHI PUO' SPENDERE 100.000 EURO PER UNA MACCHINA TROVA SEMPRE IL MODO DI FARSI TOGLIERE UNA MULTA è quindi inutile multarlo.

Confesso che la terza e la quarta ipotesi mi piacciono di più anche perchè permetterebbero entrambe di risolvere il problema dei parcheggi che a Milano è molto sentito, ti compri una serie 7 e parcheggi dovunque. Se vinco all'enalotto magari faccio l'esperimento me ne compro una e vedo se la teoria funziona. Certe volte la soluzione a problemi complessi come quelli del parcheggo in una grande città è più semplice di quello che si può pensare, basta comprare un macchinone. Già ...peccato che le multe poi le paghino gli altri e che il codice della strada valga anche per chi guida auto molto costose.
Eh sì in certe situazioni viene da pensare che forse Milano non è la città europea che si propaganda in giro ma solo una città stanca e
vecchia... dove si vedono sempre i soliti spettacolini, e che i vigili sono esseri umani anche loro forse troppo umani e a volte sono solerti,francamente anche troppo e a volte diciamo che si distraggono un po' e perdono il coraggio di fare il proprio dovere.