Caffèlungocappuccinobrioche !  

Posted by Milano è un pacco





E' una mattina di sabato di fine autunno e ne approffitto per fare colazione con mio padre che è un po' di tempo che non vedo.
Lui ha sempre qualche attrezzo da lavoro da comprare: è di quella generazione di aggiustatori e manutentori di ogni cosa, con il box, la casa, il terrazzo e i balconi trasformati in laboratorio. Sarà d'obbligo avvicinarsi a quei grandi magazzini che circondano la periferia di Milano dove potrà trovare il suo ultimo marchingegno. E' lì che poi ci accomoderemo in un bar per ristorarci.

La missione si compie, usciamo dal grande magazzino e nei dintorni cerchiamo una caffetteria. Quella che adocchiamo ci appare grande abbastanza per avere un buon servizio, ed è anche elegante: ci fermiamo ed entriamo. Non saprei come definire la prima sensazione con una sola parola ma se dovessi ricreare l'atmosfera che ci trovammo davanti direi che era quella di un pollaio, persone dai movimenti bruschi e sguaiati, una difficoltà nel capire chi e cosa, urla e schiamazzi. Non è esattamente quello che da fuori si prometteva, ma tant' è che ormai avevamo parcheggiato l'auto, e si sa: a Milano è un punto di non ritorno.

L'aria tranquilla e disinteressata di una mattina rilassante con mio padre era svanita: bisognava assumere il pieno controllo della scena, capire dov'era la cassa, la fila giusta, a chi ordinare, con quale tono di voce, e scandire bene le parole perchè la confusione non le rendeva chiare. Non voglio dire che ci si dovesse immettere in una catena di montaggio assecondandone inevitabilmente il ritmo, ma lo spettro dell'alienazione incominciava a dare qualche flebile segnale. Davanti non avevo più nessuno ma erano passati dei minuti e tra ordinazioni ad alta voce, fila da difendere e gomiti dei vicini da rendere innocui quasi avevo perso memoria del motivo della mia presenza: ero lì per fare colazione. Finalmente mi ritrovai davanti la cassa e dietro di lei una ragazza dagli occhi aguzzi, un uomo sulla cinquantina dal volto sofferente e ragazzo con una divisa dal gilet verde storto e bucato: a chi dovessi rivolgermi non era dato capire: ognuno parlava con qualcun altro che stava oltre incrociandolo, facendogli domande, chiedendo conferma o confermando ordinazioni di non si capiva bene che cosa. Nel vuoto gridai :" Caffè lungo cappuccino brioche !". Che avevo precedentemente stabilito con mio padre dopo un veloce e responsabile consulto come a stabilire una direzione irrevocabile da comunicare alla squadra in una mischia di Rugby. Il mio caffè lungo cappuccino brioche fu completamente ignorato, anzi i tre del bar si allontanarono insieme per andare a controllare che le loro precedenti ordinazioni urlate dal posto fossero state comprese dal loro collega al bancone e pare che non fosse affatto così. Ne ritornò uno e mi chiese cosa volessi sempre senza posare il suo sguardo sul mio: "Caffè lungo cappuccino brioche" risposi, ma nel frattempo fu distratto dal secondo dei tre che gli richiedeva l'attenzione e si allontanò senza dire nulla. Mio padre nel frattempo si era seduto a un tavolino e si stava studiando il suo nuovo marchingegno attendendo che arrivassi con le nostre colazioni. Lo intravedevo tra le persone che dietro di me avevano allungato la fila.

Alla cassa un commesso poi arrivò, ma non era quello di prima, così enunciai nuovamente:"Caffè lungo cappuccino brioche !". Come la vuole la brioche mi chiese: liscia risposi. Pagai e battè lo scontrino: un caffè, un cappuccio e una brioche alla crema. Il bancone si trovava a lato estremo della cassa, ma molto in fondo, dovetti circumnavigare la fila, perchè attraversarla lateralmente era pericoloso, incrociai lo sguardo di mio padre che si intuiva pensasse stessi arrivando con il suo caffè lungo e che con l'espressione mi chiedeva il perchè dell'attesa ma gli feci segno che ancora dovevo ordinare al bancone. Piuttosto lungo il bancone, nonostante alla macchina del caffè ci fossero solo due persone, si presentava dietro una fila italiana a raggiera con i due baristi che muovendosi come una pallina in una partita da Ping Pong capitavano incidentalmente davanti a qualcuno distribuendo consumazioni a caso. Ognuno ai capi della raggiera si sentiva in diritto di ordinare, in un vociare sincopato il ragazzo e la ragazza alla macchinetta sembravano intenti in un rituale che solo loro conoscevano e non prestavano retta se non a loro stessi. Appoggiavano repentinamente sul bancone delle consumazioni che gli astanti scrutavano dubbiosi valutando se combaciassero ai loro ordini. Il ritmo ipnotico dei baristi era interrotto solo da grida improvvise indirizzate ai ragazzi della cassa che chiedevano o rispondevano come prima a non si sa bene che cosa.

Non so come capitò ma mi trovai davanti alla ragazza e così pronunciai "Caffè lungo cappuccino brioche !", ripetè ad alta voce le mie parole e poi si voltò riprendendo il suo ritmo. Passarono sotto i miei occhi decine di tazzine e bicchieri ma non trovai nulla che potesse avvicinarsi a quello che era la mia ordinazione. Ad un certo momento la ragazza si girò di scatto e come vedendomi per la prima volta pronunciò:"E lei ?". Comunicai di nuovo "Caffè lungo cappuccino brioche", ripetè: "Caffè lungo cappuccino brioche" come prima si voltò e riprese il ritmo. Vidi che nella macchina si stava preparando proprio quello che avevo ordinato, la ragazza si voltò cercandomi con lo sguardo, ero proprio lì davanti ma ci mise un po' a vedermi, mentre stava appoggiando l'ultima tazzina dalla cassa urlarono, si voltò di scatto e tutto si rovesciò. Se la prese con il ragazzo a fianco tutto sudato sostenendo che chi aveva urlato aveva ragione di farlo e che se lui fosse stato attento non lo avrebbero fatto e lei non avrebbe rovesciato il tutto. Il litigio spezzò il ritmo e durò qualche minuto mentre tutti i clienti rimasero impassibili spettatori. Così la ragazza dagli occhi aguzzi che ora erano inferociti mi richiese cosa avevo ordinato : risposi "Caffè lungo cappuccino brioche". Mi passarono davanti altre tazzine e bicchieri e una decina di volte i commessi avanti e indietro prima che la barista si rivolgesse a me dicendo: "Ecco il suo caffè macchiato e il cappuccino !".

Ci fu un momento in cui pensai di perdere la pazienza ma mantenni una calma serafica e feci notare senza alzare la voce e quindi dovetti ripeterlo un paio di volte, che il caffè doveva essere lungo. Così senza neanche pensarci la ragazza prese al suo collega da un vassoio un caffè e quasi rimproverandomi mi chiese se adesso fossi contento. "In verità" gli dissi, "mancherebbe la brioche", così emise un urlo agghiacciante a uno dei ragazzi alla cassa e si fece portare una brioche che ancora adesso non rammento come fosse perchè proprio lì stavo per perdere il controllo. Arrivai al tavolino da mio padre, che con visuale a favore mi aveva potuto osservare e stava scoppiando in una risata ma per rispetto non lo faceva, e anzi osservò subito che mancavano i cucchiaini, ma si prodigò per andare lui a recuperarli. Rimasi seduto da solo forse un minuto, in quel momento mi resi conto che la confusione che mi era intorno ora aveva raggiunto la mia testa. Da lontano la scena era immutata anche se ora le urla e il vociare si sentivano più sfumati. Ma il movimento repentino di clienti e personale del bar si riusciva ancora a percepire e continuava ad attirare l'attenzione. Ora non mi andava più niente e assaggiai solamente un po' la brioche. Mio padre bevve il caffè commentando che fosse pessimo e che la prossima volta saremmo rimasti a casa.

Io pensavo come un tempo che nell'intenzione sarebbe dovuto essere rilassante fosse divenuto invece spiacevole, e come lo era stato negli ultimi tempi sempre più volte in queste situazioni qui a Milano. Che non avevo questa sensazione in nessuna città in Italia e men che meno in Europa quando mi ritrovavo in un locale pubblico. Valeva quindi la pena di trovare una spiegazione senza addossare subito la colpa a que poveri baristi. Il locale era grande e frequentato: lasciare gestire tutte le mansioni a solo quattro persone, cassa, caffetteria, ristorazione, servizio ai tavoli è già di per sè una scelta che promette ciò che poi mantiene: il caos. Se si pensa poi a quali sono i contratti che regolano queste persone nel loro lavoro e il tipo di retribuzione, che è inadeguato, si comprende come chi è messo nelle condizioni di non fare bene il proprio lavoro, a volte trovi come unica consolazione, quando la situazione glielo consente, il farlo male o fare finta di farlo.

Ma il problema ovviamente è a monte di una scelta imprenditoriale squallida e fallimentare che mira in ogni contesto quale anche quello di un semplice bar al puro guadagno e niente più, riducendo all'osso ogni servizio al cliente privandolo di qualsiasi beneficio accessorio oltre alla mera consumazione che diventa così come l'espletamento sbrigativo e alienato di una necessità corporale. Un espletamento che ormai non considera neanche le minime norme di convivenza civile e di decoro in una città dove non è più presente la speranza di un futuro ma solo di un presente che si rivela nell' unica opportunità di ottenere il massimo guadagno con quello che si ha a disposizione. E sempre più spesso con quello che non si ha. Non preoccupandosi degli sviluppi che questo atteggiamento può avere: perchè è come se il campionato fosse già finito e noi fossimo stati retrocessi, quindi a che pro sbattersi ? Quando l'impalcatura è già crollata l'unica scelta da farsi rimane quella di portare via il più possibile sottraendolo e sottraendosi all'imminente disastro. Una scelta che caratterizza la Milano di oggi.